Di Matteo Dominioni, da «Il Manifesto», 27 settembre 2019, p. 13

La storiografia sul passato coloniale dell’Italia, soprattutto quella riguardante il Corno d’Africa, è assai nutrita. Indipendentemente dal valore scientifico o meno delle opere, dall’approccio e dal metodo e dall’interpretazione dei fatti, si tratta di un tema che ha sempre riscosso notevole interesse tra il pubblico, il quale ha mantenuto viva una memoria che altrimenti si sarebbe perduta.
Molto spesso siamo di fronte a una memoria viziata e piegata, perché prodotta dagli ambienti colonialisti e veicolata al loro interno da comprimari di regime o da funzionari dei ministeri. Potrebbe essere un paradosso, considerando la mole delle pubblicazioni e il coinvolgimento delle masse in termini di numeri, ma tra la vasta letteratura mancano le voci di popolo, quelle dal basso, perché i reduci sono stati restii e reticenti nel raccontare la vita d’Africa. Questo spiega, almeno a grandi linee, come mai solamente in parte sia stata scritta una storia sociale o sulla vita materiale di tutti i giorni delle colonie.
Da alcune settimane è disponibile il volume Raccontare l’impero. Una storia orale della conquista d’Etiopia (Mimesis, pp. 323, euro 26) di Filippo Colombara che offre un prezioso contributo agli studi coloniali, per il metodo utilizzato nella ricerca, per la tipologia di fonti utilizzate, per la sintesi e l’argomentazione e, rispetto a quanto detto, in sostanza offre una visione dal basso dalla quale emergono continuamente contraddizioni e tensioni per nulla facili da gestire. Colombara, a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 intervistò – registrando su magnetofono come appreso dalla lezione di Gianni Bosio – una trentina di ex combattenti della guerra d’Etiopia originari del Piemonte nord orientale (Verbano Cusio Ossola, Novarese, Vercellese e Biellese) arruolati nelle divisioni Sabauda, Gavinana, Assietta, qualche alpino del battaglione Intra e alcune camicie nere.
L’autore quindi costruisce e utilizza fonti piuttosto omogenee che taglia, sminuzza e ricuce in una narrazione che mai perde di contatto con le questioni dell’epoca, la storiografia, gli snodi problematici, ulteriormente arricchiti e argomentati, e i vari dibattiti che negli anni sono comparsi anche tra le cronache giornalistiche e non solo tra gli addetti ai lavori. Non vi è mai la percezione di leggere cose già scritte e dette da altri: d’altronde sono i reduci che parlano offrendo tante piccole storie che non sono mai ripetitive. Il testo è arricchito da fotografie scattate dai reduci intervistati, scelte dall’autore in modo pertinente rispetto a quanto raccontato nel testo.
Il libro di Colombara colma un vuoto pesante. In esso parlano gli ex combattenti, persone comuni e di popolo, non i comandanti o i politici; voci che animano storie e modi di vita altrimenti sottaciuti; voci che alimentano una storia dal basso e una storia sociale che, almeno per quanto riguarda il colonialismo fascista, è ancora tutta da scrivere. Avere, a così tanti anni di distanza dagli eventi, un buon numero di testimonianze orali interpretate da colui il quale le registrò con una metodologia che si richiama apertamente all’Istituto de Martino, rappresenta in un certo senso un inaspettato e piacevole incontro con storie inedite altrimenti irrintracciabili, le quali vanno ad aggiungersi ai lavori di Irma Taddia, Giovanni Dore e Fabienne Le Hoerou.
Ultima osservazione. Le storie prendono colore, si impregnano di profumi e odori, rumoreggiano, grazie a testimonianze per nulla scontate e banali, a differenza di quanto letto fin troppe volte, ricche di particolari sugli usi e i costumi degli etiopici. È ovviamente la visione che hanno i soldati italiani dell’Etiopia e delle sue genti, ma trattandosi di testimonianze dal basso, emergono comunque aspetti interessanti e che problematicizzano la questione dello scontro/incontro con l’altro.

Credo importante, in questo periodo di pericolosa accademizzazione della cosiddetta storia orale, che la Società di mutuo soccorso Ernesto de Martino di Venezia abbia pubblicato Parole scritte e parlate, un volumetto denso di contenuti di Bruno Cartosio nel quale tra l’altro si ricorda come l’allargamento delle fonti storiche alle fonti orali sia stato a lungo avversato proprio dagli accademici (mi è ritornato in mente l’orale di un concorso dove venni sottoposto a un fuoco di fila di domande su chi praticasse la cosiddetta storia orale, quasi fossero stati criminali. Un interrogatorio da fare impallidire l’unico interrogatorio di polizia cui fui sottoposto nel ’69).
La pubblicazione Giorni di resistenza e libertà. Colloqui sulla vita, la morte, la guerra con tre uomini della Beltrami, a cura di Filippo Colombara, edita nel 2015 dall’associazione culturale Società di mutuo soccorso Ernesto de Martino e dalla sezione di Omegna dell’ANPI, contiene le interviste, in gran parte inedite, raccolte più di venticinque anni fa dalle voci di Bruno Rutto, Dario Cola e Bortolo Consoli (Bùrtul). Sono storie partigiane di uomini che salirono in montagna dalla prima ora, attivi nella medesima formazione – dal gruppo patrioti Quarna alla Divisione alpina “Filippo Beltrami” –, che non esitarono a “scegliersi la parte”. Incalzati dalle domande , i tre “vecchi di Camasca”, tutti di Omegna, parlano della Resistenza armata, della vita in banda, dei risvolti tragici della lotta di Liberazione: le morti in combattimento, le stragi di civili, le fucilazioni di spie e di compagni di lotta che, tradendo se stessi, si erano trasformati in banditi.















