Articoli dell'anno 2020

Working class heroes

Working class heroes.
Camminando e cantando la canzone del primo maggio

Un film di Giandomenico Curi

Working class heroes

Un viaggio decisamente poco ortodosso dentro il tema del lavoro e del primo maggio, accompagnato dalla presenza, strabica e incostante, della macchina da presa, a partire da Sortie d’usine (L’uscita dalla fabbrica) dei fratelli Lumière, sulla quale Harun Farocki ha poi costruito una teoria che riguarda il rapporto tra la fabbrica (sfruttamento e alienazione) e il cinema (divertimento, consumo, spettacolo). Ed è il cinema, insieme alla canzone, che ha creato i suoi working class heroes, gli eroi della classe operaia di cui parla Lennon, ma anche Springsteen, Cocker, Strummer, Bragg, i Gang e via elencando. Al centro del film rimane tuttavia lo zoccolo duro del cinema documentaristico, le immagini che, anche grazie al lavoro di documentazione dell’AAMOD, per anni hanno accompagnato il grande fiume del popolo del primo maggio, camminando, cantando, rivendicando un altro mondo possibile.

Il film è visibile su Arcoiris TV.

Arrendersi o perire

25 Aprile 2020: a settantacinque anni dalla Liberazione ci mancheranno le “celebrazioni ufficiali”, figuriamoci quindi il corteo di Milano o il pranzo di Fosdinovo oppure in San Niccolò a Firenze o la giornata di Casa Cervi; ci mancheranno i nostri canti, ci mancherà il nostro incontrarci.
Invece qualcuno non ci ha fatto mancare la sua soddisfazione per il coronavirus che «ci libera della retorica del 25 aprile» (Sallusti).
Anche per questo motivo abbiamo voluto riproporre un vecchio LP dei Dischi del Sole del 1965, curato da Giovanni Pirelli. Nella presentazione di Arrendersi o perire Pirelli scriveva che «[…] ci siamo messi al lavoro per proporre […] qualcosa che riportasse il duro senso, l’aspro sapore di una guerra che fu anche guerra civile, di una lotta che fu anche lotta di classe; da rivivere al presente, perché sempre presente, finché vi saranno oppressi e oppressori, è la necessità di insorgere»; oggi verrebbe da dire risorgere.
Quello che sentirete è un documento sonoro pensato come una «cronologia delle giornate insurrezionali», come se i fatti fossero registrati in diretta; ma è anche un modo per ricordare oggi i protagonisti reali di un evento, la Resistenza, che qualcuno, a ragione, definisce il Natale della nostra democrazia.
Ringraziamo le Edizioni Musicali Ala Bianca/Bella Ciao per averci consentito questa pubblicazione di Arrendersi o perire.
Buon 25 Aprile a tutti e a tutte.

Copertina – fronte
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Arrendersi o perire - Copertina - Fronte

Copertina – retro
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Arrendersi o perire - Copertina - Retro

Un approfondimento a cura di Mariamargherita Scotti

Quando Giovanni Pirelli cura, in collaborazione con Giuseppe Gozzini (per le ricerche), Dante Bellamio, Cesare Bermani e Michele L. Straniero (per le registrazioni), Cesare Bermani e Angelo Ephrikian (per l’allestimento), il disco Arrendersi o perire, è già da tempo noto come curatore, insieme a Piero Malvezzi, dei volumi di Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (1952) ed europea (1954), due importanti classici della memoria collettiva sulla seconda guerra mondiale, un “testo sacro” conosciuto, letto, insegnato e citato fino ai giorni nostri. Amico e collaboratore di Gianni Bosio fin dai tempi della rivista «Movimento operaio» – a cui si avvicina dopo aver frequentato, a Napoli, l’Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce – nel corso degli anni ’50, quasi suo malgrado (la sua vera vocazione, allora, è infatti quella di scrittore) e proprio in virtù del successo delle Lettere, Pirelli si accredita all’interno del Partito socialista quale militante provvisto di particolari doti di organizzatore nel campo della cultura. Se molti dei suoi interventi del periodo su riviste e giornali di partito (e non solo) riguardano proprio il tema della Resistenza e della sua storia, già nel 1959, in occasione del primo convegno dedicato alla storiografia sulla Resistenza organizzato dall’Istituto nazionale di storia del movimento di liberazione in Italia, Pirelli si schiera al fianco di quei giovani che insistono per un rinnovamento degli studi del settore. A sette anni dalla prima pubblicazione delle Lettere, Pirelli appare tra i fautori di una storia della Resistenza che si liberi dai “monumenti” per dedicarsi ai documenti e alla loro discussione critica, in totale sintonia con una nuova generazione di storici che mal sopporta di vedere la lotta di Liberazione imbalsamata in un monolite da celebrare senza approfondire, comprendere, documentare e distinguere. La Resistenza, per Pirelli, non si è affatto chiusa con il 25 aprile, e, in quella stessa fine di decennio, sembra ripresentarsi – per lui come per molti altri ex-resistenti – nella lotta del popolo algerino per la sua indipendenza, una causa a cui si dedica quasi a tempo pieno tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60 (lavorando, tra le altre cose a un volume di Lettere della Rivoluzione algerina basato, ancora una volta, su documenti scritti in prima persona dagli stessi protagonisti). La convinzione che la Resistenza continua ovunque sopravvivano «oppressi ed oppressori» lo trasforma – anche grazie all’incontro con Frantz Fanon – in uno dei più importanti militanti anticolonialisti italiani, un impegno che dalla Rivoluzione d’Algeria arriva al cuore dei movimenti di decolonizzazione degli anni ’60 e a un “terzomondismo” via via più convinto del legame inscindibile tra lotte di liberazione anticoloniale e lotte operaie. Un approccio che dà forma anche al lavoro editoriale delle Edizioni Avanti! (e, dal 1964, a quello delle ormai autonome Edizioni del Gallo) di Gianni Bosio, che pubblicano in quegli anni numerosi testi di storia e memorialistica della Resistenza e della Seconda guerra mondiale (alcuni dei quali, come quelli dedicati alle stragi di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema, anticipano temi in seguito centrali nel dibattito storiografico), ma anche volumi attenti a quanto si muove tra le resistenze del mondo presente, a cominciare proprio dall’Algeria, con il volume Algeria anno 7 di Mario Giovana (su questo si veda il prezioso studio di Paolo Mencarelli, Libro e mondo popolare. Le Edizioni Avanti! di Gianni Bosio 1953-1964, Biblion Edizioni, Milano 2011). È in questo contesto che va inserito il disco Arrendersi o perire, che – come scrive Pirelli a Luigi Nono (20 novembre 1964) – rifiutando «ogni impostazione celebrativa o apologetica» e affidandosi a «una nuda cronaca – registrazione di eventi, disposti in ordine cronologico – di fatti, i quali di per sé dovrebbero esprimere o suggerire le implicazioni, a vari livelli», fornisce della Resistenza un lettura politicamente orientata a valorizzarne il contenuto di classe. Ricorrendo a un montaggio a un primo ascolto semplice e piano – “realista”, come lo definisce lui stesso – Pirelli compie un’operazione che Nono giudicherà talmente interessante da spingerlo a richiedere la sua collaborazione per un futuro lavoro teatrale (A floresta é jovem e cheja de vida, 1966): la costruzione di una narrazione cronologica degli eventi grazie all’alternarsi della voce di alcuni speaker e di importanti protagonisti del tempo (da Lelio Basso a Nuto Revelli, da Ada Marchesini Gobetti a Luigi Longo, da Pietro Secchia Walter Audisio, da Sandro Pertini a Ferruccio Parri). Scopo dichiarato è quello di ricostuire «una cronologia delle giornate insurrezionali […] come se registrassimo i fatti mentre stanno accadendo, di farla dire da chi, mentre i fatti accadevano, non stava alla finestra». Una cronaca, tuttavia, tutt’altro che neutrale, come dimostra la scelta di aprire il disco con la lettura di una circolare di Rodolfo Morandi che fa esplicitamente riferimento al «diritto al potere della classe lavoratrice»: «l’insurrezione popolare – scandisce lo speaker – non è e non può essere in questo momento la rivoluzione, ma se non può direttamente da essa scaturire il nuovo ordine socialista, essa deve costituire un atto dietro il quale non si torna e non si può tornare». È d’altra parte lo stesso Pirelli, nella breve presentazione del disco – che trovate sulla copertina del disco sul nostro sito – a rivendicare il significato partigiano di questo lavoro, immaginato dal collettivo delle Edizioni del Gallo quale strumento per scardinare la rassicurante narrazione pubblica della lotta di Liberazione quale «episodio della storia d’Italia, la continuazione del nostro glorioso Risorgimento». Un’operazione che ha il fine dichiarato di ricondurre la Resistenza al suo significato originario, senza dimenticare – poco meno di trent’anni prima del celebre saggio di Claudio Pavone Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza (1991), come ha notato molto opportunamente Cesare Bermani (Giovanni Pirelli un autentico rivoluzionario, Centro di Documentazione Editrice, Pistoia 2011) – quegli aspetti di guerra civile e di guerra di classe che le commemorazioni ufficiali hanno col tempo annacquato in un ricordo scolorito e monocorde, come denuncia, in quello stesso 1965, Ivan Della Mea in una delle sue canzoni più celebri, Nove maggio (E nei giorni della lotta / rosso era il mio colore / ma nell’ora del ricordo / oggi porto un tricolore // Tricolore è la piazza / tricolori i partigiani / “Siamo tutti italiani” / “Viva viva la nuova unità” […] . Ieri ho fatto la guerra / contro il fascio e l’invasore / oggi lotto contro il padrone / per la stessa libertà // E se vi va bene il liberale / con Andreotti e il tricolore / io vi dico “Siete fottuti / vi siete fatti incastrar”). Un segno della serietà e dell’impegno con il quale Pirelli conduce questo lavoro – nell’importante occasione del ventennale di una lotta a cui ha preso parte in prima persona, seppure per pochi mesi, come commissario politico della 90° Brigata Garibaldi “Zampiero” – si trova ancora una volta nella lettera con cui si rivolge a Luigi Nono per un consiglio sull’opportunità di montare i testi prescelti con rumori, musiche e canti: «Non so se avrai tempo e voglia di rispondere al quesito che – temo malamente – ti ho posto. In ogni caso so che non sei insensibile al mio impegno di pormi, per qualcosa che è destinato alle case del popolo, gli stessi quesiti che mi porrei se questa cosa fosse destinata alla Fenice».
Una testimonianza sintetica ma significativa del modo in cui gli uomini e le donne delle Edizioni Avanti!-Del Gallo-Bella Ciao, dei Dischi del Sole, del Nuovo Canzoniere Italiano e dell’Istituto Ernesto de Martino hanno inteso – e intendono – l’organizzazione del lavoro culturale: perché fare cultura è davvero fare politica.

Canzone di marzo (i giorni del coronavirus)

Marco Chiavistrelli, operaio e cantautore pisano, scrive canzoni di protesta e impegno civile dal 1973.
Nel 2002 un suo brano è stato inserito nel cd collettivo Piazza Carlo Giuliani ragazzo.
Le sue canzoni parlano dell’ambiente e in particolare della salute in fabbrica, delle disuguaglianze sociali ed economiche, del razzismo; è un compagno di strada che incontri alle manifestazioni e, spesso, alle iniziative dell’Istituto de Martino a Sesto Fiorentino e a Firenze.
Marco non poteva fare a meno di esprimere i suoi sentimenti e le sue emozioni di questi giorni.

Canzone di marzo (i giorni del coronavirus)

Ricordi?

Da Bergamo Sandra Boninelli ci ha inviato un testo che è un inno alle piccole cose pensate, cantate e vissute. Sandra ci informa che questa Ricordi? era in origine un frammento di canzone che aveva iniziato a comporre suo fratello Mimmo e che lei ha completato inserendo sul finale una preghiera che sua nonna recitava prima di addormentarla. Il testo, in bergamasco con traduzione, è preceduto da queste poche righe che ci riportano a questi giorni terribili per la sua città:

Si parte di notte, soli
siamo lunghe file di camion;
solo la luna segue il cammino affannoso per tutti.
“Ci sentiamo domani, vedrai, starò meglio!”
Ti lascio un pensiero per la notte; anzi; una fola o un canto come piace a te.

Ricordi?

Lonedè de sul, coi pagn de laà
li sbandèra de culur, ol curtìl che l’è dre a sugà.
Martedè de grass, ol carnèal de strass,
am cambierà la èsta, am cambierà ’l scosàl,
e rierà ai cancèi, i storie che an se diss,
cuntade so de sira, sòi pianerotòi iff.
Mercoldè l’è ùra: “Dai mama, n’ dom a cà
che l’è ùra de fa ’l disnà”.
Po’ ’l ria ol Gioedè, an va tòcc a pregà,
un’orasiù per te e l’otra a la sità.
Venerdì ghe ’l nono che ’l cunterà ’na storia
del “Gioanì senza pùra”, per fa insognà i s-cietì.
Ol Sabat de matina, col lacc e i sbrofadèi,
an cumincia la giurnada, con tòcc i nos fradèi.
Duminica la festa, ol pà ’n de la minestra,
col prêt che ’l pregherà: “Sti atènc de fa mia pecàt”.
Ma intànt te va in lecc, col angel benedèt,
col angel magiur e la passiù del Signur;
tri angei ai pè, tri angei al cò, la Madona l’è che,
la te diss: “Dorma e posa, che pense me a tòtt”.

Lunedì di sole, i panni da lavare,
sbandiera di colori il cortile che li fa asciugare.
Martedì di grasso, lo straccio di carnevale
ci farà cambiare la veste, ci farà cambiare il grembiule.
Mercoledì è ora, “Dai mamma, andiamo a casa,
è l’ora di preparare il pranzo”.
Poi arriva giovedì, andiamo tutti a pregare,
un’orazione per te e l’altra per la tua città.
Venerdì c’è il nonno, racconterà una storia
di “Giovannino senza paura” per far sognare i bambini.
Il Sabato mattina, col latte e il pane cotto,
cominciamo la giornata con tutti i nostri fratelli.
Domenica la festa, il pane nella minestra,
col prete che pregherà: “State attenti di non fare peccati”.
Ma intanto tu vai a letto con l’angelo benedetto,
con l’angelo maggiore e la passione del Signore;
tre angeli ai piedi, tre angeli sopra la testa, la Madonna è qui
e ti dice: “Dormi e riposa, penso io a tutto”.

Il morbo infuria

Francesco “Ciccio” Giuffrida è un ricercatore di musica popolare e cantastorie siciliano. Negli anni ’70 ha fatto parte del “Canzoniere del vento rosso” e ha partecipato anche alla riedizione del Ci ragiono e canto di Dario Fo. Continua a scrivere canzoni; è un amico carissimo e socio dell’Istituto Ernesto de Martino. Ci ha segnalato questo suo brano che ci sembra perfetto per raccontare questi nostri giorni di incertezza, sgomento e paura.