A piena voce

Anche quest’anno il Circolo Agorà di Pisa, il gruppo Vincanto e il nostro Istituto Ernesto de Martino organizzano la rassegna

A piena voce
La musica popolare italiana descritta e cantata
da alcuni suoi protagonisti

La prima data da segnarsi è quella di sabato 5 aprile 2014; le altre giornate, di cui daremo i dettagli nei prossimi giorni, saranno sabato 10 maggio e sabato 7 giugno.

Ecco il primo appuntamento:

Sabato 5 aprile

— Ancor ben che siamo donne —
Una giornata con il gruppo Cence allegre di Modena

  • Dalle 17 alle 19 e 30 – Laboratorio condotto dal gruppo Cence allegre. Esercizi di emissione vocale e di cosapevolezza melodica, canti della tradizione popolare emiliana
  • Alle 20 – Cena sociale di autofinanziamento. Menù a 20 euro (primo, secondo, dolce, vino e acqua). Prenotazione obbligatoria, tel. 050500442 oppure 3383614966
  • Alle 21 e 30 – Cence allegre in concerto. Interverranno i Vincanto e il Coro popolare Agorà

La serata si svolgerà nella sede del Circolo Agorà in via Bovio 48-50, a Pisa.

A piena voce 2014 - 5 aprile - Cence allegre

Palestina – Resistere per esistere: immagini dai territori occupati

Palestina - Resistere per esistere

Venerdì 14 marzo 2014 alle 21
presso la Casa del Popolo di Quinto Alto
Via Gino Venni 6, Sesto Fiorentino

Palestina – Resistere per esistere: immagini dai territori occupati

Serata di approfondimento sul tema della situazione in Palestina, con la proiezione di un video girato nel corso di una visita nei territori occupati e la testimonianza diretta del cittadino palestinese Zuher.

L’iniziativa è organizzata dalla Casa del Popolo di Quinto Alto e da AssoPace Palestina di Firenze in collaborazione con ANPI Sesto Fiorentino, Istituto Ernesto de Martino, Collettivo Diversamente in lotta.

8 marzo, Tracce di protesta

8 marzo, Tracce di protestaDa diversi anni l’Istituto Ernesto de Martino, in collaborazione col Progetto Giovani – un’iniziativa dell’Amministrazione Comunale di Sesto Fiorentino -,  organizza uno stage con gli studenti di una classe dell’Istituto Scolastico  Calamandrei di Sesto Fiorentino.
Nel giugno 2013 lo stage era dedicato alla protesta; il risultato è stata la realizzazione di una performance, quasi un flash-mob, incentrata sul tema della violenza di genere (gli studenti partecipanti erano tutte ragazze).

Siamo felici di informarvi che questa performance verrà riproposta a Sesto Fiorentino nell’ambito delle iniziative indette dal Comune per la Giornata Internazionale della Donna, sabato 8 marzo.

 

SABATO 8 MARZO 2014
ore 16,30 – Piazza Ginori, Sesto Fiorentino

TRACCE DI PROTESTA

Performance scenica a cura di Costanza Lanzara
e delle studentesse dell’IISS Piero Calamandrei

Un’iniziativa dell’IISS P. Calamandrei
e dell’Istituto Ernesto de Martino

Interverrà il vicesindaco e presidente della Consulta Comunale Pari Opportunità IVANA NICCOLI; il gruppo musicale IL SENTIERO DELLE ROSE proporrà un repertorio di ballate della tradizione europea, a partire dalle ore 16.

Per maggiori informazioni e per il programma dettagliato di tutte le iniziative dell’8 marzo 2014, consultate il sito www.comune.sesto-fiorentino.fi.it

Ilva, un luogo invecchiato molto male

Da «il manifesto», 14 febbraio 2014, p. 11

Recensione a
Mondo operaio, fabbriche, memoria del lavoro,
«Il de Martino», n. 22-23 (2013)

Bruno Cartosio

L'Ilva di Taranto

Dell’ILVA di Taranto si è parlato molto negli ultimi tempi e, giustamente, si dovrà parlare ancora a lungo,  mentre, a proposito di acciaio, di Bagnoli e di Cornigliano non si parla più. Della Richard Ginori, dei cantieri di Monfalcone e, tutto sommato, della FIAT di Melfi si è parlato poco. Invece le vite in tutti quei luoghi di lavoro e di vita, le lotte, le soggettività e memorie operaie sono al centro del numero doppio appena uscito (nn. 22-23, 232 pp., 15 euro) de “Il de Martino”, la rivista del benemerito Istituto omonimo. E se nelle sue pagine si parla dell’ILVA, per esempio, mettendo insieme con grande efficacia cronistoria aziendale e discorso operaio su di sé, sul lavoro e sulla società circostante, si racconta anche, però, della prassi delle burle in fabbrica, dei minatori e dei canti di protesta sardi, delle industrie metalmeccaniche italiane in Cina.
Le scritture, i saggi presenti nella rivista sono diversi tra loro per impostazione e per efficacia. Alcuni tratti però sono sufficientemente comuni da permettere qualche generalizzazione. Anzitutto, il benvenuto a un lavoro che tematizzando il passaggio “da operai a gente” avvenuto negli ultimi decenni, si colloca nel problematico contesto socio-culturale in cui ci troviamo. Ed è un discorso che cerca di riprendere e riannodare i fili di una vicenda collettiva in cui le cesure tra presente e memoria sono esplorate, non taciute. Il lavoro è serio, anche se, come sempre nelle storie che i lavoratori raccontano su di sé e sul proprio lavoro, nel dramma c’è sempre spazio anche per la commedia. Il mosaico messo insieme dai tre curatori Cesare Bermani, Filippo Colombara e Antonella De Palma pesca nelle ricerche monografiche che loro stessi e altri nove studiosi hanno condotto negli ultimi anni. In tutti i saggi l’impiego degli strumenti della storia orale – essenzialmente l’indagine sul campo e i racconti in prima persona di lavoratori o ex lavoratori che parlano individualmente o in gruppo – si intreccia con il ricorso alle fonti scritte, primarie e secondarie.
Vorrei puntare brevemente l’attenzione su tre contributi, e quindi su tre nodi tematici di rilievo, ben sapendo di fare torto agli altri. Il primo è quello di Gianni Alioti “sulle industrie metalmeccaniche cinesi a conduzione italiana”. il saggio di Alioti aggiunge qualcosa a quello che sappiamo della Cina. Sintetizza i risultati di una ricerca presentata al pubblico italiano nel 2011 dalla Fim-Cisl e dall’Istituto Sindacale di Cooperazione allo Sviluppo, e fornisce dati importanti sulla presenza italiana – Piaggio e Candy, in particolare – nella provincia cinese di Guangdong. Le interviste a lavoratori cinesi permettono di concludere che anche nelle aziende “italiane” non vengono rispettati “i princìpi degli standard internazionali del lavoro, né le linee guida dell’OCSE sulle imprese multinazionali”. Ma non si rimane nel generico: molte delle imprese studiate “garantiscono salari e welfare ben inferiori agli standard minimi, impongono eccessivi orari di lavoro, violano la libertà di associazione sindacale, di contrattazione collettiva, e persino le norme esistenti in materia di salute e sicurezza del lavoro”. Nello spiegare gli investimenti della Piaggio in Cina, Roberto Colaninno aveva detto: “Noi non abbiamo delocalizzato, siamo andati a produrre per mercati che non avremmo mai potuto raggiungere producendo in Italia o in Europa”. Va bene. Questa, diciamo, è la globalizzazione “buona”. E continuava: “La sfida è organizzativa, le imprese devono dotarsi di una cultura che consenta loro di affrontare un mercato globale”. Molto meno bene, naturalmente, visto che in tale “cultura” non si rispettano neppure le pur basse norme della legislazione locale. Infatti, i lavoratori Piaggio ricevono salari inferiori al minimo di legge e gli straordinari (obbligatori, non volontari come dovrebbero essere) non sono pagati secondo le norme e portano le ore di lavoro settimanale a più di 60. Alla Candy fanno lo stesso, con la settimana lavorativa che può anche essere di sette giorni su sette (invece che di sei su sette) con orario prolungato e straordinari sottopagati.
Il comando sulla manodopera nel post-fordismo della globalizzazione neoliberista, in Cina, assomiglia molto a quello del pre-fordismo. In quanto modello di organizzazione produttiva il fordismo non è sparito, coesiste ovunque con quanto è stato introdotto dagli anni del “toyotismo” a oggi. Il punto è che si intreccia sempre più – anche fuori della Cina – con i modelli di comando sociale dei tempi del pre-fordismo. All’affermarsi del modello produttivo e sociale fordista si era accompagnata una pratica di “compromesso”, come viene ricordato in “Futuro interrotto” (il saggio sulla Fiat di Melfi di Fulvia D’Aloisio), grazie al quale la presenza sindacale e la contrattazione erano riconosciute, produttività e salari crescevano sostanzialmente di pari passo, l’occupazione era stabile. I lavoratori di Melfi avevano creduto che la fabbrica avrebbe portato lavoro, salario, stabilità e benessere nella società lucana. Dopo poco più di dieci anni si sono ricreduti. Le loro esistenze sono segnate da incertezza del lavoro e precarietà, inasprimento delle condizioni di lavoro e infine una ricattabilità sociale che inevitabilmente favorisce la sottomissione.
Tra Basilicata e Puglia la distanza è poca, anche se Melfi è nata pochi anni fa come struttura di avanguardia, mentre l’Ilva è nata molti anni fa ed è invecchiata male. La ricerca etnografica su Melfi di cui questo lavoro è un esempio, si integra perfettamente con l’altra sulle aziende cinesi e sull’ultima a cui mi sembra necessario accennare, quella sull’ILVA e su Taranto. De Palma intreccia i frammenti della storia, diciamo così, istituzionale dello stabilimento con i racconti dei lavoratori riguardo al loro luogo di lavoro. Si parla degli impianti e delle lavorazioni. Della vigilanza interna, che doveva controllare l’insubordinazione emergente e che in qualche caso ha prodotto esasperazione: “All’acciaieria una sera hanno picchiato un fiduciario di Riva poi sono andati nello spogliatoio, si sono spogliati, hanno messo gli abiti civili e se ne sono andati a casa. Automaticamente si sono licenziati. Però lo hanno mandato all’ospedale”. Del rapporto con il quartiere Tamburi, contiguo allo stabilimento: “Quando Riva ha cominciato ad avere problemi con il Comitato di quartiere, perché di là poteva venire un pericolo vero, poteva avere anche quarant’anni chi presentava la domanda, ma se vedevano che era dei Tamburi, veniva assunto. Così tappava la bocca alla gente dei Tamburi”. Ma quando i danni alle persone e al quartiere hanno superato le soglie della tollerabilità, l’insieme di mobilitazione, ricerca e informazione, il rapporto “preferenziale” non è più bastato all’ILVA, come sappiamo, a garantirsi la pace sociale. Anche in questo caso, i due pezzi che nel “de Martino” entrano nel merito aggiungono qualcosa alla storia di oggi. E sia qui, sia, per esempio, nei saggi su Bagnoli, Cornigliano e la Richard Ginori – la storia ricostruita e la memoria raccontata aiutano a capire oggi quello che, bene o male, diventerà storia e memoria domani.

Il de Martino 22-23/13 – Mondo operaio, fabbriche, memoria del lavoro

Come acquistare la rivista

Il de Martino
Rivista dell’Istituto Ernesto de Martino
per la conoscenza critica e la presenza alternativa
del mondo popolare e proletario

N. 22-23, 2013; pgg. 240, € 15

Mondo operaio, fabbriche,
memoria del lavoro

L'Ilva di Taranto

a cura di
Cesare Bermani, Filippo Colombara,
Antonella De Palma

— Dalla quarta di copertina —

Le profonde trasformazioni economiche del paese hanno decretato la fine di un certo mondo operaio. Nell’arco di pochi decenni i lavoratori dell’industria sono passati da una fase di protagonismo sociale a una di emarginazione o di vera e propria sparizione.
Gli studi che pubblichiamo in questo numero della rivista riguardano vicende operaie in aziende e poli industriali situati in diverse aree della penisola: da Taranto a Bagnoli, a Melfi, alla Sardegna sud occidentale e, salendo a settentrione, dall’area fiorentina al Genovese, all’alto Piemonte, all’estremo nord-est. Alcuni di essi si occupano di fatti conosciuti al di fuori del perimetro localistico e assurti a livello nazionale. Tra questi le storie di Ilva, Fiat Melfi, Richard-Ginori e del bacino industriale del Sulcis.
Nella sezione internazionale, un’indagine sulle fabbriche cinesi a conduzione italiana affronta la questione dei diritti internazionali dei lavoratori, ignorati dalle nostre aziende che hanno delocalizzato la produzione all’estero.
I materiali utilizzati sono tratti da ricerche sul campo in parte ancora in corso. La documentazione principale è costituita da interviste a operai. Decine di storie che oltre a fornire notizie sulle vicissitudini aziendali, si soffermano sulle esperienze di vita e lavoro compiute in quest’ultimo mezzo secolo.

— Sommario —

  • L’argomento
    • Istituto Ernesto de Martino, Da operai a gente
  • Storia e storie
    • Antonella De Palma, Ilva: una storia di fusioni
    • Antonella De Palma, In nome del profitto. Taranto e la “sua” fabbrica
    • Maria Antonietta Selvaggio, Bagnoli: una difficile transizione
    • Jeff Quiligotti, La “gabbia d’oro”. La Cornigliano Italsider dall’entrata in produzione all’autunno caldo
    • Fulvia D’Aloisio, Futuro interrotto. Operai nel post-fordismo e nuova precarizzazione alla Fiat-Sata di Melfi
    • Gianna Bandini e Andrea Grifoni, Ottant’anni di Richard-Ginori. I lavoratori raccontano
    • Marco Puppini, Organizzazione nuova e problemi antichi. Il cantiere navale di Monfalcone dalla crisi degli anni Settanta alle navi da crociera
    • Francesco Bachis, Le scarpe, il mare, la miniera. Note sui conflitti nelle storie di vita di minatori della Sardegna sud occidentale
  • Internazionale
    • Gianni Alioti, Indagine sulle industrie metalmeccaniche cinesi a conduzione italiana
  • Cultura di base
    • Antonietta Podda, Storie e canti di protesta nella Sardegna sud occidentale tra passato e presente. Una ricerca in progress
    • Cesare Bermani, Laggiù a Villar Perosa, terra dei cuscinetti a sfere. Le canzoni di fabbrica
    • Filippo Colombara, Scherzi di classe. Burle e dileggi nelle fabbriche siderurgiche dell’alto Piemonte

Come acquistare la rivista